giovedì 17 gennaio 2008

IL GRUPPO LIGNEO DELLA SS.TRINITA DI POPOLI



Il gruppo ligneo della SS.Trinità, proveniente dall’omonima Chiesa di Popoli (Pescara), iconograficamente ricalca la tradizione canonica del tema sacro, già presente in molte raffigurazioni dipinte affondanti le radici nella cultura artistica occidentale, ma anche in quella orientale. Dio Padre, simbolo della potenza e della regalità divine, é rappresentato come un vecchio patriarca dalla barba fluente, il braccio destro é in atto benedicente.
La mano sinistra regge uno scettro regale argenteo, ma che in origine doveva essere ligneo e che, purtroppo, é andato perduto. Il Figlio siede alla destra del Padre e trionfalmente regge la Croce, simbolo del proprio sacrificio per la salvezza dell’umanità. La Colomba raggiata dello Spirito Santo, che si libra in volo alle spalle delle due figure, simboleggia l’amore divino. Il Padre e il Figlio siedono sul globo terrestre, sull’universo, a simboleggiare la suprema autorità reggitrice delle sorti del mondo, dell’intera umanità. La sfera lignea é collocata su di una base che presenta in basso tre teste alate di cherubini, secondo l’iconografia decorativa tradizionale.
Anche la SS.Trinità é stata realizzata con le tecniche scultoree appartenenti alla Corporazione degli intagliatori secondo le quali (in generale) le statue lignee venivano ricavate da un unico pezzo di legno, sul quale potevano essere innestate le parti sporgenti, e con l’assemblaggio di pezzi diversi attraverso chiodi di ferro e/o cavicchi di legno o con incastri che venivano incollati con colla animale o, più raramente, con colla di caseina. Sono elementi, questi, che emergono anche dalla minuziosa relazione tecnica di restauro dell’opera da parte della dottoressa Dittmar, dalla quale si evince l’uso di bulloni e ponti di ferro che ancorano tra di loro le figure del Padre e del Figlio ed entrambe al globo.
Per quanto concerne l’analisi storico-artistica della SS.Trinità é evidentissima la sua paternità ad un artista di ottima formazione. Si tratta sicuramente di un grande maestro di scuola napoletana. Nella relazione tecnica del restauro dell’opera, dell’ottobre 1999, eccellentemente portato a termine dalla dottoressa Cornelia Dittmar, con la direzione scientifica del dott. Sergio Caranfa, l’opera é stata attribuita allo scultore Giacomo Colombo (Este, 1663 - Napoli, 1731 ca.). Il Colombo fu un grande artista - imprenditore, titolare di un’affermatissima bottega operante a Napoli a cavallo tra l’ultimo decennio del XVII secolo e il primo trentennio del successivo secolo. Sue opere, e altre attribuite alla sua bottega, sono disseminate un po’ in tutto il Viceregno spagnolo dell’Italia meridionale e in Spagna. La SS.Trinità é menzionata nella pergamena n.8, del 1712, dell’Arciconfraternita della Santissima Trinità di Popoli, che sicuramente la commissionò. Quindi nel 1712 il gruppo scultoreo ligneo già esisteva. Dal punto di vista plastico e coloristico nella figura di Cristo trionfante si evince una marcata propensione dello scultore verso un’eccezionale resa anatomica delle masse, dei muscoli e dei tendini, tanto da proporsi come modello ‘eroico’, modellato in modo da farlo sembrare un vero e proprio atleta. La sua corporatura é ben proporzionata ed armoniosa, in tutte le sue parti, con una notevolissima vena naturalistica; nel volto sembra aleggiare un marcato compiacimento ‘espressionista’. Cristo ha la bocca semiaperta, sembra voler dialogare col fedele, che s’inchina al suo cospetto, mentre trionfalmente mostra la Croce, che ha redento l’umanità peccatrice. Anche il volto del Padre evidenzia un marcato espressionismo fisionomico. Sono, questi, elementi che appartengono alla teatralità barocca in cui gli ideali della compostezza e del decoro, propugnati dalla Chiesa controriformata, ben si coniugano con tutta una vasta gamma di gesti che accompagnano la parola. Il gesto di Dio Padre, con la mano destra benedicente, si propone come una vera e propria epifania trinitaria e sottolinea, se mai ce ne fosse bisogno, il grande amore paterno verso noi mortali che, attoniti, assistiamo a questa meravigliosa apparizione. La Colomba dello Spirito Santo, poi, aleggia coi suoi raggi sull’intero gruppo ligneo e lo completa in maniera straordinaria. Da notare la grande perizia tecnica e la notevole capacità dell’autore nell’aver saputo realizzare un’opera così complessa, la cui resa iconografica é legata sia alla difficoltà di rendere ‘visibile’ l’invisibilità di un dogma, interpretandolo in maniera semplice ed efficace allo stesso tempo, che alla propria vena inventiva e creatrice.
L’eccellente restauro ha evidenziato, poi, la monumentalità e la complessità del gruppo ligneo trinitario che, secondo me, potrebbe appartenere allo scultore Giacomo Colombo e alla sua bottega. Per esempio, il colorito degli incarnati é simile a quello colombiano, con la presenza di una nota di classico equilibrio e serena compostezza e un’accentuata vena naturalistica. Sono elementi tipici del linguaggio coloristico e dello stile che ritroviamo nella cultura artistica colombiana tra la fine del XVII secolo e i primi anni del successivo. Sono anche gli anni del gruppo ligneo di Santa Maria della Pietà, eseguita tra il 1698 e il 1702, per l’omonima chiesa collegiata di Eboli (Salerno) e come nell’opera ebolitana anche qui si nota un marcato gusto naturalistico legato, però, a una più ponderata vena di classica compostezza, pur con la presenza di una gestualità eroica, ancora barocca, di gusto spagnoleggiante, anche se abbastanza temperata, equilibrata. D’altra parte dobbiamo ricordare che il Colombo riuscì sempre a produrre opere in cui è presente un formale equilibrio classico di base unito ad un sostanziale naturalismo realistico, più o meno accentuato, a seconda delle opere e dei gusti della committenza, trovando sempre un punto di contatto tra la propria vena creativa e le esigenze devozionali. Questo naturalismo d’altra parte derivava anche da una totale padronanza del colore. Il Colombo, infatti, è stato non solo un grande maestro nell’arte scultorea, ma un fine ed acuto colorista. La delicatezza e la sobria luminosità del colore degli incarnati, e dei panneggi, sottolinea questa indubbia capacità tecnica e ciò ha sicuramente contribuito al successo della sua produzione artistica. Non si dimentichi che Giacomo Colombo nel 1689 entrò a far parte della Corporazione dei Pittori napoletani e nel 1701 ne divenne prefetto. Quanto testé affermato é rilevabile nel gruppo ligneo della SS. Trinità di Popoli, soprattutto nella resa plastica e volumetrica delle masse, ben armonizzate tra loro; nel sostanziale equilibrio formale dell’insieme; nella pregevole resa cromatica degli incarnati e dei panneggi; nella corretta conoscenza dell’anatomia; nella certosina resa anatomica delle masse muscolari e dei tendini nel Cristo; nell’evidenza di un contorno netto e chiaro dei piani e nella generale ricerca di movimento nelle masse e scioltezza e solennità dei gesti, come eloquente espressione della sacralità. Ma vi é di più. L’autore evidenzia una grande perizia nel naturalismo stilistico e nella resa realistica di particolari anatomici dai quali si evince chiaramente un’attenzione minuta anche per i più piccoli particolari, come le vene affioranti sotto la cute e le stesse pieghe cutanee, rese in modo esemplare.
Non va dimenticato che Giacomo Colombo mise a punto precocemente “una serie di schematizzazioni tipologiche, soprattutto nei volti, che riprenderà costantemente nel corso della sua carriera”. Questa considerazione, di Gian Giotto Borrelli, é certamente utile per poter meglio capire anche l’opera di Popoli. Il volto di Cristo nella SS.Trinità, per esempio, é vicino, quasi fosse lo stesso modello di riferimento ideale, a quello di Santo Strato, opera colombiana nell’omonima chiesa napoletana, del 1701. La forma allungata del viso, il modo con cui plasticamente sono modellati la barba e i capelli, l’orecchio destro semicoperto dai capelli, la bocca semiaperta, il profilo e i lineamenti fisionomici sembrano essere originati da un unico modello ideale cosa che le due opere sembrano davvero appartenere alla stessa mano e, penso, anche al medesimo periodo, ciò i primissimi anni del XVIII secolo. La stessa cosa dicasi per il viso, ma soprattutto per il modellato dei capelli e del corpo del Cristo morto nel gruppo ligneo della Pietà di Eboli. Inoltre, le pieghe del panneggio della manica del braccio destro benedicente del Padre nell’opera di Popoli sono, ad esempio, molto vicine a quelle della manica del braccio sinistro della Madonna nella Santa Maria della Pietà ebolitana.

di Gerardo Pecci